Hatem Shob è nato nell’agosto del ‘65 a El Mansura nella regione di El Dakahlia in Egitto. Il padre si chiamava Abd El Mageed Sobh era un teologo di fama della società egiziana e docente presso l’Università Azhar de Il Cairo. Come teologo era spesso chiamato all’estero per partecipare ad importanti convegni. La famiglia di Hatem era numerosa, lui era il penultimo di sette fratelli.Hatem ha vissuto in famiglia fino al diploma, poi si è trasferito ad Alessandria d’Egitto, dove ha frequentato l’Università. A ventidue anni si è laureato all’ISEF e successivamente ha iniziato la carriera di insegnante. Una scelta intrapresa da Hatem con responsabilità, affascinato dal ruolo di preparatore delle generazioni future. Al mattino insegnava quindi all’Università Azhar, la stessa del padre, e nel pomeriggio in quella della sua città natale, El Mansura.Hatem aveva valutato l’ipotesi di lasciare il suo paese ma pensava che, se mai avesse fatto questa scelta, sarebbe andato in Germania o negli Stati Uniti, come diversi suoi amici. Ma il padre, che passava molto tempo oltre oceano e che conosceva bene la situazione degli emigrati egiziani in quel paese, gli sconsigliò di trasferirsi li, per la difficoltà che avrebbe trovato ad affermarsi nella società statunitense. Così,dopo qualche anno di esperienza, Hatem accettò con entusiasmo l’opportunità di insegnare all’università privata di Jedda, in Arabia Saudita, dove si trasferì e lavorò per cinque anni. Nel ’95 Hatem doveva rientrare in Egitto per una vacanza e per effettuare alcuni accertamenti medici. In quel perido i genitori erano a Milano per partecipare ad una serie di conferenze. Hatem decise di raggiungerli per passare le vacanze con loro e per sottoporsi in Italia agli accertamenti medici di cui aveva bisogno. Dopo tre mesi i controlli non erano ancora stati completati. Non avendo il permesso di soggiorno Hatem non aveva diritto all’assistenza sanitaria. Nel marzo ‘96 il governo italiano fece una sanatoria per regolarizzare gli immigrati ed Hatem presentò domanda. Ottenne un permesso di soggiorno temporano che sbloccò la situazione ed Hatem ebbe diritto all’assistenza medica. Gli furono diagnosticati seri problemi ai reni e dovette iniziare delle terapie appropriate. Dopo circa cinque mesi Hatem tornò in Arabia, l’Università sollecitava il suo rientro, e riprese l’attività di insegnante. Al termine dell’anno scolastico, consigliato dal suo preside preoccupato per la sua salute, Hatem tornò in Italia per ulteriori accertamenti. In quel periodo fece spola fra Italia ed Arabia più volte, diviso fra il lavoro in Arabia e le cure di cui aveva sempre più bisogno in Italia. Alla fine Hatem ottenne il permesso di soggiorno definitivo e, a malincuore, decise di trasferirsi in Italia. Poco dopo stette molto male. Fu ricoverato per ventitre giorni all’Ospedale San Raffaele di Milano dove gli dissero che presto avrebbe dovuto iniziare la dialisi. La situazione dei suoi reni, che prima sembrava stabile, stava peggiorando. La dialisi cominciò nel ‘98. In Italia Hatem trovò lavoro presso un’impresa di pulizie in provincia di Lecco, dove si stabilì, anche se la sistemazione non era ideale per lui che doveva andare frequentemente all’ospedale di Milano dove era in cura. Quando ottenne un alloggio in una casa popolare di via Padova Hatem lasciò il lavoro. La nuova sistemazione era ideale per lui che ogni sei ore doveva sottoporsi a dialisi. Hatem aveva bisogno di un lavoro che gli lasciasse una maggiore disponibilità di tempo. Non trovandolo Hatem aprì inizialmente un’impresa edile e successivamente un’impresa di pulizie. Contemporaneamente aprì un’impresa di import export di macchine utensili dall’Italia verso l’Arabia. All’inizio l’attività di import-export andò bene. Poi entrò in gioco l’euro. I prezzi dei prodotti italiani persero competitività e l’attività si ridusse considerevolmente fino ad arrivare alla chiusura.Divenne interessante importare in Italia prodotti dall’Egitto. Hatem avviò un’attività di import di frutta esotica. Vendeva ai negozi arabi della zona; ma non riuscì mai ad entrare nella grande distribuzione. Nel tempo cominciarono a subentrare nuovi concorrenti. La sua impresa perse competitività ed infine Hatem dovette chiudere anche questa attività. Nel 2001 Hatem era molto demoralizzato. Dal ’98 era in lista per il trapianto. Avrebbe voluto tornare in Egitto per rivedere la famiglia e stava cercando di organizzare la spedizione delle apparecchiature, per poter continuare la dialisi nel suo paese. Aveva però timore che durante la sua assenza arrivasse il rene tanto atteso. Il 17 maggio 2001 Hatem ebbe un incontro in ospedale per organizzare la spedizione delle apparecchiature. Durante l’incontro lo informarono che, nel caso fosse arrivato il rene, sarebbe dovuto rientrare entro otto ore per sottoporsi all trapianto. Una cosa praticamente impossibile. Hatem uscì dall’ospedale depresso, voleva camminare per sfogarsi e andò a trovare un amico. Alle 19 di quello stesso giorno, mentre stava tornando a casa, fu richiamato dall’Ospedale. Lo informarono che c’era un rene disponibile, e così doveva presentarsi subito. Alle 4 di mattina Hatem fu trapiantato.Per lui cominciò una nuova vita senza dialisi. Aprì un phone center a Sesto San Giovanni e divenne anche grossista di traffico telefonico. Contemporaneamente, anche se saltuariamente, Hatem continuava con le attività di import-export. Dopo solo un anno e mezzo il rene si rovinò e Hatem dovette riprendere la dialisi. Il phone center funzionò fino al 2008, quando il governo italiano introdusse l’obbligo di licenza per i phone center. Hatem seguì l’iter di regolarizzazione, ma da quel momento il negozio non andò più bene. Era soggetto a continui controlli e i clienti si ridussero parecchio. Prese due multe. Una perché un suo dipendente, che non aveva casa, si era fermato a dormire in negozio e un’altra perché aveva esposto le regole di erogazione del servizio solo in italiano, quando avrebbe dovuto esporle anche in una seconda lingua. Ma quale, considerando che i suoi clienti erano di tutte le nazionalità ? Hatem decise di chiudere anche questa attività e aprì una nuova impresa edile.Nel 2007 Hatem si ammalò. Fu nuovamente ricoverato al San Raffaele dove subì degli interventi piuttosto invasivi. Da allora Hatem iniziò a sottoporsi alla imo-dialisi. Una forma di dialisi meno invasiva di quella che praticava in precedenza, che gli consentiva di andare in ospedale solo tre pomeriggi alla settimana. Oggi Hatem ha chiuso le sue imprese. Ha deciso di tornare a fare l’insegnante e di seguire la strada del padre. Quando non va in ospedale per la dialisi, insegna religione e l’Arabo. Hatem è un Imam. Il venerdì va alla moschea di Lecco e gli altri giorni alla moschea di via Padova a Milano. Predica la pace, la tolleranza e la comprensione dell’altro. Saltuariamente continua con la sua attività di export di attrezzature utensili, l’unica che ha mantenuto. Hatem è molto grato all’Italia perché sa di essere stato curato con professionalità ed umanità. Ama il nostro paese e da cinque anni ha chiesto la cittadinanza italiana. Hatem non ama parlare dei problemi politici, anche se pensa che la dittatura nel suo paese sia ormai un retaggio del passato. E’ un democratico e spera che in Egitto possa finalmente nascere una vera democrazia.